Off Topic

Un inatteso intreccio di emozioni ci attende al varco quando ci disponiamo all’ascolto di questo Drifting, seconda uscita discografica per ECM di Mette Henriette, trentaduenne sassofonista norvegese. Non ricordo un titolo di album così appropriato, in quanto ‘“andare alla deriva” si è rivelata la sensazione più calzante per descrivere lo stato d’animo globalmente percepito in questo disco. Come quell’emozione di smarrimento appagante che si avverte trovandosi al cospetto di un paesaggio disabitato con lo sguardo che si perde nell’orizzonte della Natura. La prima domanda che un recensore si pone, più per acquietare le proprie ansie tassonomiche che altro, è capire che tipo di musica si troverà ad ascoltare. Sappiamo già in partenza che con le produzioni ECM non è quasi mai facile rispondere a una domanda come questa, talmente tante possono essere le derivazioni e le influenze che s’incrociano nell’operato degli artisti messi sotto contratto per questa etichetta. Diciamo subito che Drifting non s’inquadra certo in una dimensione jazz, nemmeno in quella classica cameristica. Non potremmo parlare di minimalismo e tantomeno di ambient. Insomma, questa musica, evidentemente nuova, lambisce diversi territori senza mai fisicamente accostarne alcuno. La Henriette, come una driade dei boschi, è un’incantatrice di anime, un autentico spirito silvano che crea fugaci illusioni, esperienze ectoplasmiche ed approssimazioni al silenzio, annullando la dimensione incipiente del Tempo. Contrariamente alla maggior parte dei compositori, l’elegiaca stimolazione emozionale di questa Autrice mi sempra che vada oltre la sua biografia personale, al di là della propria esperienza soggettiva. Come uno specchio che raccolga luce ed immagini e le ritorni agli osservatori, così questa musica racconta la profondità di ognuno di noi, stimolandoci ad un viaggio interiore e alla comprensione delle nostre zone d’ombra. I momenti assorti che Drifting propone sono un vero e proprio viatico verso una placida discesa nel nostro Ade personale, alla ricerca di qualcosa che potrebbe trascendere le nostre convinzioni e gli inesorabili limiti che le accompagnano.

In questo album, il sassofono tenore della Henriette si fa appaiare da Johan Lindvall al pianoforte – già presente nell’album precedente uscito nel 2015 – e da Judith Haman al violoncello. Il trio, che crea di per sé un nucleo formativo non comune, sviluppa il proprio suono attraverso bagliori subitanei, spazi silenziosi e visioni panoramiche color pastello. La musica è molto armonica, direi priva di qualsiasi dissonanaza irrisolta, rischiarata da una luminosità interiore e ben attenta a non inciampare in qualsivoglia clichè new-age. Piuttosto si avverte, qua e là, qualche inflessione folk che avvicina la Henriette alla sua collega norvegese Sinikka Langeland – potete trovare una sua recensione quianche se in Drifting non c’è canto alcuno, se non quello arcaico ed evocativo degli strumenti utilizzati

Il vagabondaggio ipnagogico inizia con un brevissimo intro, The 7th, eseguito all’unisono dai tre strumentisti che ci scortano al primo autentico brano, Across The Floor. Il piano di Linvall gioca su un’altalena di due accordi, un rivolto di La Bemolle Maggiore – forse con una quarta aggiunta – e un Sol minore altrettanto rivoltato che disegnano un’insolita barcarolle su cui il violoncello quasi si aggrappa con note lunghe e melodiose. Il sax propende per qualche accennata dissonanza iniziale per poi improvvisare una delicata sequenza di note che nel finale dimostra un’inaspettata impennata acidula. Quando è la volta di I Villvind si cambia di tonalità mentre il piano s’impegna in una serie di arpeggi tra due accordi, uno maggiore ed uno minore, sfruttando una caratteristica modale che mi ha ricordato la tecnica spesso utilizzata da George Winston. La Henriette soffia nel suo sax simulando inizialmente una risacca marina, improvvisando sul moto ondoso impostato da Lindvall, con il violoncello a riempire con discrezione i vuoti e le pause. L’impressione è quella di una vastità mossa da dinamiche naturali, maree e vento che agitano pensieri e riflessioni. Cadat, con quelle note intervallate di sax, estremamente melodiche, appoggiate ai riflessi luminosi del piano, sembra quasi un richiamo, un’evocazione di qualche spirito boschivo. Sullo sfondo si avvertono dei suoni dolci e molto acuti che francamente non riesco a capire da quale strumento vengano prodotti. Chassè è il nome di un passo di danza che si svolge in tre momenti, così come il ritmo in ¾ innescato dal piano suggerisce. Il sax intona una melodia che sembra alleggerirsi del proprio peso, proprio come il volteggio di una ballerina. Pare quasi di avvertire la voce dell’insegnante scandire l’un-due-tre, l’atmosfera ha qualcosa di malinconico e di chiuso come in un dipinto di Degas. Drifting è tra i brani migliori dell’album, con quel suo battito lento dato dagli accordi di piano che sembra non avere direzione. Aria, respiri e sguardo sfocato all’orizzonte. Fluttuare nell’acqua e nell’aria come una nuvola di vapore, abbandonandosi alle direttive del Caso. Sax e violoncello si abbracciano al pianoforte creando un’autentica sensazione di serenità. La Henriette soffia con delicatezza mentre Haman armonizza le sue note lunghe che vanno a perdersi, dissolvendosi in lontananza. Oversoar è il brano più lungo della raccolta, quello più asciutto e cantilenante. Poche note di piano, reiterate, qualche dissonanza nell’improvvisazione. Anche il violoncello insiste sulle medesime note e il sax cerca una via d’uscita che però non trova. Una dolente litania modale fa in modo che si scenda più a fondo nel nostro immaginario fino alla linea di confine che separa la coscienza dall’inconscio più arcaico.

Con Rue Du Renard l’impostazione del brano precedente non cambia poi molto ma la musica trova una certa agitazione sotterranea mentre il piano s’impegna in uno sfarfallio di luce e il sassofono incede verso una narrativa moderatamente melodica, un frame indefinito attorno al bordone di base. Indrifting You vede un sax suonato così dolcemente che a tratti sembra un flauto traverso. Pochi accordi rarefatti di piano, violoncello quasi sospeso nell’aria. I significanti di questa musica sono in continuo movimento così come le calme riflessioni che ne vengono stimolate. C’è poi da notare come in questo brano, forse maggiormente che in altri, si esce dalla costrizione modale per modificare i centri tonali che scivolano gli uni sugli altri ma conservando una serie di cromatismi assai intriganti. Direi che le derive descritte in questo album non sono solo raccontate ma anche scrutate a fondo, con l’occhio possibilista e interiormente aperto pari a quello di un’assorta meditazione. A Choo armonizza sé stesso sopra una serie di note ripetute del piano come fossero espressione ritmica di una danza popolare. Henriette e Haman, approfittando del ciclico rientro dei suoni operato da Lindvall e attorcigliandosi come rampicanti attorno alla scansione geometrica del piano, cercano qualche dissonanza, a dire il vero non riuscendosi a liberare dal clima un po’ ossessivo che percorre tutto il brano. Ciedda, Fas s’immerge in un mood lunare estremamente rarefatto che trapassa , in breve tempo, nel brano seguente, 0°. Temperatura gelida, quindi, più effetti sonori che altro con simulazioni ventose aggiunte. Solsnu nasce da un cupo appoggiarsi di pianoforte dove il violoncello si limita a rumoreggiare con l’archetto e il sax sembra far nascere una melodia che muore presto, quasi prigioniera dei rintocchi gravi delle note sostenute da Lindvall. Crescent sembra riprendersi dall’oscurità ma il tono resta ancorato in una sorta di alone di mestizia. Si conclude con Divining, minimale apporto che scivola su una coppia di accordi e sulle note di violoncello a chiudere.

L’incedere forse troppo crepuscolare del finale sottrae un poco di bellezza a questo album insolito e affascinante. Se di deriva dobbiamo parlare, allora si sottolinea l’esplorazione della Henriette tra le maglie di questo percorso iniziatico, quasi facesse parte di un cerimoniale dai sapori antichi, una danza condotta alla ricerca di sé stessi. Importante la dialettica tra gli strumenti, impegnati nel supportarsi l’un l’altro, in un’ottica completamente aliena all’assolo e alla convulsione ritmica. Il passo leggero e immateriale di questa musica è fatto per rimarcarne la struttura pulviscolare, con atomi di note che cercano di raggiungere una nuova forma aggregandosi e sciogliendosi nella levità dell’aria. Deriva, quindi, per uscire dai perimetri angusti del dejà entendu alla ricerca del perfetto non-luogo della nostra interiorità.

— Riccardo Talamazzi

https://offtopicmagazine.net/2023/01/23/mette-henriette-drifting/